AccessibilitàLe potenzialità del phygital nei musei: didattica, accessibilità, salute e benessere.

Le potenzialità del phygital nei musei: didattica, accessibilità, salute e benessere.

Torniamo con grande piacere a intervistare l’Ing. Federico Trippi per esplorare un concetto di grande attualità come quello del phygital. Insieme rifletteremo sulle potenzialità che dischiude e identificheremo applicazioni utili nel mondo dei musei.

Che cosa significa phygital?

Questa parola moderna phygital può rappresentare in qualche maniera una combinazione delle arti figurative pittoriche tradizionali con le arti figurative plastiche, ma in una chiave nuova, in una chiave digitale «a-materica», oserei dire. Perché di fatto, da sempre la comunicazione tramite immagini è il modo di interpretare il mondo. La visita in un museo, tramite reperti, tramite opere pittoriche, tramite opere scultoree, quindi di fatto la lettura delle forme , delle immagini o la lettura plastica dell’opera, è la via di interpretazione del loro significato più profondo.
Il concetto di phygital di fatto non aggiunge nulla a questa base, ma la potenzia di una quarta dimensione: quella in cui poter aggiungere informazioni o contestualizzazioni, o attraverso cui rendere fuori dal concetto di spazio fisico quella stessa opera o quello stesso manufatto. Questo permette livelli superiori di coinvolgimento e di comunicazione dell’opera, sia che si legga nel contesto del museo, o che addirittura si abbia la possibilità di trasporla direttamente fuori dal museo per permetterne anche una lettura esterna.
È chiaro che questo lo si poteva già fare, semplicemente attraverso contenuti multimediali tradizionali: le immagini. Il mondo delle neuroscienze – le cui conoscenze derivano dalla neurologia e hanno visto una prima, fortissima, applicazione nel marketing, nella costruzione di logiche di sistema, di ingegneria sociale – ci dice chiaramente che vivere un’esperienza che coinvolge più di un senso dei nostri cinque a disposizione, crea un effetto mnemonico – e quindi una percezione da parte del nostro cervello – molto più impattante.
Attraverso le moderne tecnologie si ha oggi la possibilità di spostarsi dal mondo fisico reale al mondo digitale e viceversa con crescente libertà.
Muovendosi verso il digitale le tecnologie sono fondamentalmente rappresentate dalle immagini in alta risoluzione e dai modelli tridimensionali, costruiti o tramite tecniche di laser scanning o attraverso la computer grafica applicata (CGI, Computer-generated imagery), che appunto trasformano l’informazione reale in un modello digitale, in questo modo un oggetto può passare dal mondo fisico al mondo virtuale.
Muovendosi nel senso inverso, dal digitale al reale, un oggetto può essere riportato nel mondo fisico con due strumenti di moderna concezione: in primis, la manifattura addittiva – ovvero le stampanti 3D – che chiaramente non riportano la bellezza e la profondità di un’opera originale, ma permettono comunque di fare delle operazioni fondamentali nel mondo dell’arte, tipo la scalatura dei bozzetti – mi riferisco in maniera particolare alle opere classiche –, e la contestualizzazione di questi in ambienti reali. Oltre alla manifattura addittiva è la realtà aumentata o la realtà virtuale che permette di vedere quell’opera in un altro contesto, però reale. Questo non sarà mai come vivere l’esperienza completa della visione dell’oggetto reale, ma le si avvicina. Nel momento in cui un’esperienza effettivamente vissuta diventa un ricordo, il nostro cervello non sa distinguerlo da quello di un’esperienza solo immaginata e vista, e questo permette di riavvicinare un mondo digitale e non tangibile, non palpabile, tramite la nostra memoria a qualcosa di estremamente tangibile.

Come impatta questo sul concetto di museo?

Tutto questo apre dei filoni modernissimi nell’interpretazione del museo che diventa sempre di più un ambiente nel quale, quanto più i nostri sensi sono enfatizzati tanto più l’esperienza diventa efficace. Anche perché, il fatto che si possa in un certo senso «portare via» l’opera dal museo attraverso un modello digitale e la si possa vedere comodamente sul divano di casa, significa viversi il museo ovvero avere la volontà di vivere l’experience in prima persona. Quindi il museo come esperienza fisica non è più semplicemente «vedo l’opera», ma diventa «mi vivo tutta quell’esperienza», che è il luogo dove è il museo, che è l’ambiente museale stesso e le tecnologie che rendono immersivo il museo e, infine – ma in primis –, l’opera che sto guardando, l’opera o il manufatto a seconda che si tratti di un contesto artistico o archeologico.

Questo apre anche altre prospettive al museo?

Bene, detto questo, questa interazione permette dei concetti di accessibilità intellettuale e fisica molto più avanzati di quello che siamo riusciti a fare fino ad oggi. Mi riferisco a tre settori estremamente importanti: il primo è quello della didattica, il secondo è quello del mondo delle persone con impossibilità motorie – e quindi impossibilità agli spostamenti e fruibilità di alcuni accessi –, il terzo è il mondo delle persone che non possono spostarsi per motivi legati all’età stessa, l’ambito della terza età.

Vale quello che si diceva prima a proposito del mondo dell’istruzione: per lo stesso motivo per cui per memorizzare un libro o un film bisogna vederlo almeno due volte – la prima volta si colgono i concetti, la seconda si memorizzano i dettagli. Avere un’esperienza virtuale di un contesto reale come un museo, avvicina e incuriosisce la percezione dello studente. Il meccanismo può spingere ad andare poi realmente ad esplorare fisicamente quel luogo e comunque lascia una traccia molto più profonda rispetto ad azioni come leggere un libro d’arte o sentirsi raccontare determinate opere.

Avere un’anteprima dell’esperienza diventa un elemento catartico che in qualche maniera induce la voglia di fare l’esperienza immersiva «vera», per lo stesso principio per cui nel marketing per convincere all’acquisto di qualcosa lo si ripropone mille volte fintanto che diventa un elemento subliminale che nel nostro cervello si trasforma in una necessità/volontà d’acquisto. Chiaramente, se lo leggiamo con un’accezione didattica, rinforzare visivamente un’opera o un museo vuol dire renderlo patrimonio culturale della persona che vive quest’anticipazione, in maniera tale che quando il soggetto inizia a sentire la necessità di vederla dal vivo ci arrivi preparata. Per meglio dire, ci arrivi nella seconda fase che è quella della memorizzazione. Questo ovviamente ha un fine didattico, ha un fine comunicativo, ha un fine soprattutto sulle persone molto giovani, per avvicinare anche i bambini con un meccanismo più leggero, più giocoso, a un mondo di cultura importantissimo, fondamentale da conservare e tramandare.

Una cosa che è abbastanza chiara, o quanto meno preoccupa alcuni importanti studiosi contemporanei di filosofia o di iconografia – mi viene in mente, tra gli altri, Umberto Galimberti. Le prossime generazioni, sperimentando una perdita di tutta quella che è la cultura che deriva ad esempio dalla lettura delle immagini cristiane – parliamo per le nostre parti di mondo che sono ricche di opere a tema – avranno sempre più difficoltà a interpretare determinate iconografie, che sono al di là del contenuto e del credo religioso, fondamentali e rappresentative negli elementi di comunicazione che per duemila anni hanno avuto un loro preciso significato e che dovevano essere correttamente collocate nel contesto dell’osservatore. Quindi questa caratteristica di riportare anzitempo la capacità di leggere elementi è fondamentale anche per non perdere delle traduzioni.

Parliamo allora dell’accessibilità per chi non può recarsi fisicamente al museo.

Ecco, spostandosi su dei settori meno fortunati rispetto alla pura didattica, si tratta del phygital come elemento chiave per permettere l’experience anche a persone che hanno delle problematiche in primis motorie. Poter spostare grazie ad una virtualizzazione le opere, il museo, verso la persona e non necessariamente portare la persona al museo, può significare costruire degli elementi di abbattimento di barriere totalmente nuove. L’accesso ad alcuni ambienti, che nella loro bellezza possono presentare delle problematiche, non tanto in termini di accesso architettonico – perché comunque ormai le leggi urbanistiche prevedono tutte le soluzioni necessarie – quanto per persone che proprio non possono spostarsi in alcun modo, ha quindi un’estrema valenza nonche una forte importanza in termini di innovazione e progresso.

Infine accennavi alle possibilità offerte al museo verso il mondo della terza età.

Esatto. Non per ultimo lo stesso concetto di accesso per il mondo della terza età, perché è un elemento di cura e di coinvolgimento rispetto ad alcune problematiche senili, dal semplice invecchiamento – semplice per modo di dire –, a problematiche ben più gravi quali l’Alzheimer etc. 

In medicina si è riconosciuto che alcune terapie esperienziali basate sulla bellezza, sul coinvolgimento attivo di persone anziane in ambienti che le fanno star bene – e l’arte è un ambiente che fa star bene per sua natura – possono produrre dei buoni risultati. Se vogliamo offrire l’arte come elemento di bellezza in percorsi per la terza età, non si può immaginare che la mera visione in digitale di un contenuto sia la chiave. Tuttavia se si prevede un accompagnamento di qualcuno che racconta, che spiega e contestualizza una lettura digitale delle opere, può far sì che si creino dei contesti in cui queste proposte diventino efficaci. Pensando alle associazioni o agli enti che offrono servizi per la terza età, creare coinvolgimento con tecnologie di nuova concezione può essere una buona proposa di innovazione e di ampliamento della proposta.-Le nuove tecnologie al servizio degli operatori non devono richiedere un super-informatico per usarle; devono esser easy, devono essere smart nel vero senso della parola, quindi facilmente utilizzabili anche da persone che non sono nativi digitali e che magari sono nati in epoche lontane rispetto a visori, computer e ologrammi. Alla fine il concetto è quello di trasmettere l’immagine.

Immagine che, in definitiva, come dicevamo in apertura, è la chiave da sempre – dalle pitture rupestri del paleolitico a oggi – con cui si tramanda il sapere. Oggi questa trasmissione dell’immagine possiamo realizzarla con strumenti più raffinati la cui combinazione diventa phygital. Pertanto le tecniche di reverse engineering, le tecniche di virtualizzazione, le tecniche – anche fotografiche – di ricostruzione 3D, quindi quelle di fotogrammetria, diventano particolarmente attuali e particolarmente importanti sia in termini di conservazione del patrimonio artistico che di comunicazione.

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