AccessibilitàMusei e multisensorialità: un grande potenziale

Musei e multisensorialità: un grande potenziale

La multisensorialità è una chiave di lettura che si sta imponendo sempre di più all’attenzione di ogni soggetto che intenda coinvolgere un pubblico, musei inclusi. Un tema eccellente su cui possono convergere in maniera virtuosa sia una crescente domanda di mercato sia una missione etica improntata all’uguaglianza e alla coesione sociale.

Esseri sensoriali

Sembra banale ricordare che l’essere umano è un essere sensoriale e sullo sviluppo e sull’adattamento della sua sensorialità si è basata la sua sopravvivenza per millenni, non cosa di poco conto. In tempi recentissimi, invece, in modo marcato da almeno un paio di decenni, si sta realizzando uno scenario di vita quotidiana i cui tempi sono sempre più accelerati e frenetici. La «sopravvivenza» dipende sempre di più dall’acquisizione di informazioni attraverso un uso preponderante della vista o talvolta dell’udito a discapito degli altri sensi. Lo scenario generale presenta una sensorialità impoverita e concentrata sul mezzo visivo, impoverimento che sembra dover essere compensato da uno stile di comunicazione forte e aggressivo in cui colori e forme competono per catturare l’attenzione ed evocare «sensazioni» da riprodurre direttamente nell’interiorità del destinatario. Questa forma di «esperienza», per quanto affascinante, a nostro avviso rimane comunque vicaria, surrogata, e non riesce a soddisfare quello che è un bisogno fisiologico più complesso.

Cosa fare?

Non si fraintenda il preambolo. Siamo lontano quanto mai dal voler muovere una critica luddista alla modernità. Il nostro modesto ragionamento vorrebbe, anzi, semplicemente cercare di puntualizzare (senza pretesa di originalità o esaustività) qualche lacuna delle attuali modalità di trasferimento della conoscenza per esaminare altre vie – già disponibili o in corso di studio – che possono migliorare l’esperienza di apprendimento all’interno del contesto museale.

Il ritorno della sensorialità

A nostro avviso questa «riduzione sensoriale» sperimentata nel quotidiano è uno dei motivi connessi all’aumento di interesse generalizzato proprio verso la «sensorialità» e la «multi-sensorialità». Un interesse che si vede affiorare ripetutamente, ad esempio, in uno dei campi più vivaci, sensibili e rapidi a intercettare a livello concettuale le tendenze di mercato del momento, cioè il campo della creatività pubblicitaria e del marketing.

Qualche esempio. L’occasione di una cena al ristorante è (quasi) sempre gradevole, ma se ne viene messo in evidenza il carattere «sensoriale» si trasforma facilmente in un’esperienza affascinante e ricca di suggestioni. A questo proposito, tra l’altro, almeno da un decennio blasonati chef internazionali invitano a recuperare l’uso delle mani – e quindi il senso del tatto – per mangiare. Con grande rispetto per il settore della ristorazione, il ricorso ai termini «esperienza», «sensoriale» e «multisensoriale» nei testi promozionali, fa pensare che il pubblico trovi appetibile questo tipo di «presentazione».
Osservando anche la comunicazione pubblicitaria, specialmente nella promozione di prodotti materiali (dall’igiene, all’alimentare, passando per auto/moto e quant’altro in mezzo), per quanto veicolata principalmente dal mezzo visivo, si nota un susseguirsi di rimandi alla sensorialità e alla fisicità di tatto-olfatto-gusto-udito. Anche recenti materiali formativi di Confcommercio indicano quanto i rimandi alla sensorialità, anche se veicolati solo attraverso mezzi visivi o testuali, possano influenzare in modo importante il comportamento di un osservatore, nel caso potenziale acquirente. Infine, l’espandersi di quello che si potrebbe chiamare «il turismo del benessere» con un’offerta di strutture e trattamenti dedicati (ad esempio terme, centri benessere, massaggi) si potrebbe liquidare semplicemente come il risultato di una società edonista o come mera reazione al diffondersi di un serpeggiante malessere. E potrebbe finire lì. A chi scrive sembra invece degno di nota e significativo il fatto che l’offerta ricada su trattamenti appunto «sensoriali» che coinvolgono fortemente l’aspetto fisico.

Turismo sensoriale

Osservando il settore turistico, quante sono le brochure in cui il carattere «sensoriale» figura tra i punti forti di un pacchetto? Dagli agriturismi dove ci si può immergere nella natura e gustare prodotti locali genuini, alle offerte culturali locali che cercano di raccordarsi al turismo enogastronomico, fino ai già citati pacchetti termali, sembra di cogliere un incremento nell’offerta di esperienze volte a migliorare il benessere dell’individuo, così come un crescente interesse verso le tematiche del benessere attraverso la riscoperta della sensorialità e della percezione dell’ambiente circostante.

Un grande potenziale da cogliere

Perché tutte queste considerazioni al limite del fuoritema? Solo per cercare di supportare la seguente tesi: la sensorialità è attualmente un tema cardine e lo sarà sempre più in futuro, semplicemente perché fintanto che l’essere umano esiste avrà esigenze sensoriali, e se nel suo ambiente quotidiano l’offerta sensoriale viene ridotta o squilibrata questo creerà uno spontaneo bisogno di compensazione. Pertanto, l’area della multisensorialità rappresenta un settore di investimento di grande potenziale anche a livello museale, che porta anche un’implicazione chiave – a nostro avviso capace di ampio sviluppo – riguardo all’accessibilità fisica e di contenuto.

Questa tendenza in atto verso l’apprezzamento della sensorialità, fornisce un ottimo punto di contatto con tutte le esigenze di progettazione accessibile, la cui importanza parallelamente è cresciuta notevolmente nel tempo. Sensorialità e accessibilità sono due campi strettamente correlati. Focalizzando il ragionamento sul settore museale, con qualche accorgimento volto al rispetto dell’accessibilità universale si possono realizzare luoghi e situazioni in cui ogni visitatore si senta accolto, abbia la possibilità di arricchirsi interiormente e culturalmente, e magari di entrare in contatto con nuove modalità di fruzione, inattese quanto entusiasmanti.

Ma cosa significa multisensorialità?

È scontato che ogni allestimento sia naturalmente multisensoriale, senz’altro offre spunti alla vista, emette i suoni e gli odori propri dell’ambiente, e – anche se non è consentito toccare apparentemente nulla – restituisce inevitabilmente anche un’esperienza cinestesica attraverso la temperatura e l’umidità che si possono percepire nell’aria dell’ambiente. Rimane ancora escluso il senso del gusto, certo, – eccezione fatta per contesti specifici che offrono ad esempio, occasione per degustazioni –, ma si può affermare tranquillamente che qualunque visita museale offre stimoli sensoriali per almeno 4 sensi su 5. Stimoli, certo, impartiti più o meno deliberatamente.

Quindi tutte le mostre sarebbero multisensoriali?

Sì, in questo senso, che a prima considerazione può sembrare banale. In realtà è facile imbattersi in sedi e occasioni espositive che sottolineano – tra le altre peculiarità – il loro essere «multisensoriali», perché presentano contenuti audiovisivi a cui viene aggiunta la possibilità di interagire semplicemente toccando o manipolando qualche opera o qualche oggetto. L’etichetta «multisensoriale» – o «sensoriale», anche meglio, perché vocabolo più breve – ha un buon richiamo e guadagna terreno sia sulle locandine, sia nell’immaginario collettivo contemporaneo.

Opportunità trasversali

Fatta questa lunga premessa si può intuire come impegnarsi, in modo serio, in quest’ambito, sia un’occasione da cogliere rapidamente per qualunque soggetto si trovi a voler coinvolgere un pubblico. Qui il nostro soggetto particolare sono i musei e il pubblico sono i visitatori potenziali o effettivi. Investire in un vero approccio multisensoriale, che coinvolga il visitatore in maniera mirata e non casuale, può rappresentare una grande risorsa per ogni museo, anche a livello di contenuti didattici. Consideriamo per un momento il termine «museo» anche nella sua etimologia, cioè «luogo sacro alle muse»: viene spontaneo il collegamento con musica, poesia, teatro, danza, tutte discipline tra le quali si possono agevolmente ricavare dei rimandi, per formare una multisensorialità anche di concetto. Investire in situazioni museali che siano veramente mutisensoriali, che rispettino le collezioni conservate e le arricchiscano con una valorizzazione coerente.

Meglio, per tutti

Approfondire l’utilizzo di diversi sensi per veicolare informazioni e valorizzare, ad esempio, una collezione, avvicina automaticamente a una progettazione accessibile e inclusiva. Una collezione che sia valorizzata tenendo conto di vista, udito, tatto, olfatto, si distingue con un allettante richiamo sensoriale e allo stesso tempo riesce a proporre il proprio valore all’apprezzamento di un pubblico molto diversificato.

Qualche esempio

A titolo di modestissimo esempio, rassegne musicali con un repertorio che sia in dialogo con uno o più oggetti delle collezioni, magari ricreando al contempo sensazioni olfattive utilizzando essenze specifiche e – con un po’ di creatività e attenzione – anche degli spunti per il tatto (semplicemente anche il supporto su cui è riportato il programma di sala che viene distribuito ai partecipanti, realizzato in un materiale particolare e coerente all’insieme) e per il gusto qualcosa da assaggiare o sorseggiare (ad esempio degustazione di alimenti o bevande che abbiano un legame coerente). Il successo che accoglie questo tipo di iniziative, che già vengono realizzate a macchia di leopardo nella Penisola (un esempio su tutti la rassegna Sensi d’Estate portata avanti dal Museo Tattile Statale Omero di Ancona), ci fa pensare che i musei possano ancora contare su un largo margine di miglioramento, di cui profittare per offrire al proprio pubblico occasioni serie e uniche di arricchimento in questo senso.

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