AccessibilitàEsplorando i musei in virtuale

Esplorando i musei in virtuale

Intervistiamo oggi l’Ing. Federico Trippi, fondatore e amministratore di R&D Telecommunication and Energy srl, un’importante società di ingegneria con sede a Firenze, per parlare insieme della loro esperienza professionale nel settore museale e delle opportunità di sviluppo verso il digitale che i musei possono cogliere grazie alla loro consulenza e ai loro servizi specializzati nel campo della virtualizzazione degli ambienti e dei manufatti, per divenire luoghi più dinamici, più educativi e più accessibili.

Sommario

Di cosa vi occupate in R&D Technologies?

«R&D Telecommunication and Energy è una società di ingegneria di processo e di prodotto. Facciamo innovazione e la portiamo sia in ambito fisico (nel campo dei macchinari) sia in ambito digitale (che ormai è sempre di più un asset tangibile – esattamente come i macchinari –), su processi produttivi e in generale processi aziendali.
Pertanto le nostre attività, che vanno dalla consulenza di innovation management fino a quella di campo, fino a includere anche la realizzazione di nuovi impianti produttivi, ci mettono nella condizione di operare trasversalmente nel settore dell’innovazione.
A compendio di questo utilizziamo la finanza agevolata – ovvero bandi – per far sì che le aziende e tutti i soggetti interessati possano permettersi soluzioni di innovazione e usufruirne, perché di fatto ogni innovazione è un investimento e quindi ha bisogno di risorse per poter essere messa in campo».

Qual è la vostra storia? Come avete iniziato?

«Abbiamo iniziato a lavorare nel settore dell’innovazione sedici anni fa tramite il dipartimento di ingegneria industriale dell’ateneo fiorentino. Un’esperienza durata cinque anni che si è poi sviluppata nella costituzione come società privata, undici anni fa. Il nostro lavoro ci appassiona e abbiamo sempre creduto che il trasferimento tecnologico – ovvero trasformare in valore, in qualcosa di molto concreto e innovativo, quelli che sono i trend tecnologici e sociali – avesse un’importanza fondamentale. Ci siamo appassionati a queste soluzioni, per cui da una parte la nostra capacità di tenersi aggiornati e di ricercare le tecnologie di tendenza, dall’altra capire le necessità delle aziende del territorio al variare del contesto sociale e tecnologico (che sono due elementi sempre più connessi) è diventato un po’ una strada e una ricerca quotidiana trasformata in lavoro. La verità è che fondamentalmente ci divertiamo e uniamo in tal senso passione e lavoro quotidiano, in una soluzione che da piacevolezza a noi e allo stesso tempo porta anche risultati per le aziende».

Entriamo nel vivo del tema: musei e virtuale. Come riuscite a riprodurre un ambiente, come un museo, in forma virtuale?

«Utilizziamo la tecnologia Matterport, si tratta di un laser scanner che – abbinato a una piattaforma digitale – ci permette di ricostruire un modello tridimensionale e navigabile di un qualsiasi ambiente: uno spazio, un museo, una singola stanza o un sito archeologico, ad esempio, o una galleria di arte contemporanea. La forza di questa tecnologia è che unisce la fotogrammetria con la tecnologia laser e ci permette di ottenere dei risultati visuali che sono analoghi a quelli di una fotografia, quindi mantenendo l’immersività e il coinvolgimento dato dalla luce naturale e dalla ripresa fotografica stessa, cosa che neppure i migliori rendering riescono a raggiungere allo stesso modo. Effettivamente è un sistema laser scanner 3D che integra tecniche di fotogrammetria con tecniche di misurazione infrarossa. L’apparecchiatura consiste in una macchina di ripresa con tre teste, disposte a in modo da inquadrare contemporaneamente soffitto, pavimento e vista frontale, montata su treppiede. Per effettuare una scansione si posiziona la macchina nell’ambiente, gli si fa effettuare una rotazione di 360° sull’asse verticale e questo permette di ottenere una ripresa in tutte le direzioni».

Quali esperienze rilevanti avete maturato nell’utilizzo di questa tecnologia?

«In questi dieci anni di attività abbiamo sviluppato moltissime soluzioni: da piattaforme digitali, alla realizzazione di nuovi impianti, allo sviluppo di prodotti B2C venduti in tutto il mondo. Abbiamo aiutato aziende e imprenditori a sviluppare nuove idee di prodotto che poi sono state prototipate, realizzate, portate in produzione e vendute, alcune anche a livello mondiale. Il mondo della fotografia è peraltro una passione personale. Tutto quello che è il mondo del virtual oggi ha un nome preciso, lo chiamiamo metaverso, ma quando individuammo la soluzione di virtualizzazione di cui raccontiamo era il 2017, allora si trattava ancora di una tecnologia molto giovane e poco conosciuta. Decidemmo di fare un investimento perché eravamo convinti che in tanti ambiti lavorativi il mondo si fosse allargato e compresso allo stesso tempo, che la possibilità di spostare visualmente quelle che sono le nostre realtà con degli asset multimediali più complessi, più adeguati ai tempi rispetto a quelli tradizionali della fotografia e dei video (possono essere realtà aziendali, possono essere ancora di più realtà museali), quindi per scopi formativi e comunicativi, potesse avere un grande valore. Così ci abbiamo creduto e abbiamo investito in questa tecnologia, il tempo ce ne sta dando ragione – anche la recente esperienza degli anni del Covid19 lo ha ribadito – e sia i nostri clienti sia noi in prima persona stiamo apprezzando quotidianamente quanto disporre di uno strumento di comunicazione come questo si possa rivelare una risorsa insostituibile.

Veduta di navigazione dentro il modello virtualizzato del Museo Alto Mugello realizzato da R&D Telecommunication and Energy.
Veduta di navigazione dentro il modello virtualizzato del Museo Alto Mugello (Palazzuolo sul Senio, Firenze) realizzato da R&D Telecommunication and Energy in collaborazione con SDIPI srl, tramite la tecnologia Matterport.

Nel settore museale abbiamo ormai un’esperienza di quattro anni di lavoro: per citare alcune esperienze in team, in collaborazione con SDIPI srl abbiamo operato nel settore archeologico, ad esempio con la virtualizzazione del Museo Alto Mugello, un piccolo gioiello nel cuore dell’Appennino toscano, non facilmente raggiungibile ma situato in un borgo meraviglioso, Palazzuolo sul Senio. Abbiamo sicuramente osservato un effetto utile per tutte le attività di cultural heritage e quindi di recupero delle tradizioni di luoghi collocati fuori dai circuiti turistici tradizionali. Sempre in ambito museale, sulla costa toscana, in collaborazione con la società di servizi per la nautica Navigo scarl, abbiamo avuto l’esperienza di digitalizzazione dei Musei Civici di Villa Paolina a Viareggio, della villa di Paolina Bonaparte e della collezione di abiti conservata al suo interno. Abbiamo poi scansionato dei boutique hotel legati a delle Fondazioni di arte contemporanea, per cui il boutique hotel diventa allo stesso tempo una galleria d’arte.

Abbiamo insomma avuto modo di fare esperienza in diversi settori museali, arte contemporanea, arte moderna, archeologia e arte classica, apportando le nostre competenze per valorizzare in un unico contenitore sia l’opera, sia l’ambiente e l’allestimento che il curatore ha portato avanti per molteplici scopi».

Esempio di virtualizzazione di un manufatto eseguita da R&D Telecommunication and Energy con tecnologia Matterport in collaborazione con Navigo Toscana: l’abito di corte di un’invitata alla cerimonia di incoronazione della Regina Elisabetta II conservato a i Musei Civici di Villa Paolina, Viareggio.

Che accoglienza avete ricevuto nel settore museale?

«L’entusiasmo è stato quello di quando si incontra una tecnologia nuova. Ovviamente chi ne ha capito il valore – cioè la capacità di essere uno strumento di marketing attrattivo per portare persone anche a grandi distanze per fare formazione da remoto, quindi creare nuove opportunità visuali di comunicazione dei propri ambienti – è ovviamente rimasto particolarmente colpito dell’idea e ancora più felice nel momento in cui l’ha potuta vedere in maniera tangibile (o digitale che si voglia) per poterla poi utilizzare come uno strumento di marketing, di comunicazione, di formazione e progettuale. Chi invece ovviamente è più legato a logiche tradizionali, all’inizio ha avuto un po’ di diffidenza ma è stato sufficiente realizzare dei piccoli case history e permettergli di sperimentare la soluzione direttamente verso terzi, che subito ha avuto un’altra percezione del prodotto: come ogni cosa, non solo va vista con gli occhi, ma va provata, va utilizzata, perché chiaramente sono modelli rappresentativi – come tutte le immagini lo sono – necessari per fare promozione, attrazione, animazione».

Quali sono i servizi che potete offrire a un museo e quali scenari di utilizzo si possono immaginare?

«I servizi che si possono offrire a una realtà museale tramite queste tecnologie sono moltissimi, chiaramente la specifica tipologia di museo crea condizioni d’uso differenti. Faccio un esempio: se parliamo di gallerie di arte contemporanea o moderna, che spesso hanno una rapida rotazione degli allestimenti, è noto quanto sia importante la disposizione e la sequenza con cui viene presentata l’opera di un artista rispetto a quella di altri o, in caso di mostre monografiche, la sequenza della produzione individuale. Attraverso i nostri servizi offriamo la possibilità di disporre di un archivio digitale dove vengono salvati molteplici “sotto-archivi”, come tanti “sotto-allestimenti”, differenti e questo permette di dare una storicità e di ripresentare opere che magari per il cambio degli allestimenti variano, in momenti differenti, quindi ha un valore di natura di archivio di presentazione e quindi anche di marketing.
Per musei che invece magari rimangono fuori dalle rotte più tradizionali ma che a livello turistico racchiudono un grande valore aggiunto, magari perché conservano qualche unicum come opere o reperti e quindi eccellenze, la possibilità di farsi conoscere, di un recupero del territorio, è un meccanismo di engagement che fa sì che poi le persone possano essere attratte, andare a scoprire anche luoghi meno conosciuti.
Ancora, ad esempio, la possibilità di fare formazione a distanza nelle scuole. Dato che nel concetto di sostenibilità contemporanea anche gli spostamenti diventano un elemento chiave, la possibilità di fare formazione a distanza e comunque portare all’attenzione di scuole, di insegnanti e soprattutto di giovani, degli ambienti che sarebbero invece più difficili da raggiungere ha un valore aggiunto.
Un altro valore aggiunto è poi quello di rendere l’accessibilità di alcuni luoghi museali, che magari per la natura dei luoghi non sono di facile accesso per visitatori con ridotta mobilità, persone anziane o persone con disabilità.
Infine, penso anche a un altro impiego estremamente importante, che può essere quello di presentare soluzioni tecnologiche di allestimento, ad uso ad esempio di costruttori di tecnologie nell’ambito della museotecnica – come bacheche, allestimenti, luci – per mostrarne le potenzialità e quindi riproporle magari in altri musei, quindi anche per uno scambio di soluzioni nell’ottica di dare enfasi e di potenziare quello che è il prodotto da mostrare in ambito museale».

Perché un museo dovrebbe investire nella virtualizzazione dei propri ambienti e delle proprie collezioni?

«I vantaggi sono molteplici. Innanzitutto è come se potesse disporre di una copia virtuale dell’allestimento in caso di problemi, furti o catastrofi. A questo proposito, infatti, negli Stati Uniti questo tipo di prodotto digitale viene utilizzato anche come prova con valore assicurativo.
Inoltre, come accennavamo prima, il museo può disporre di un archivio digitale delle mostre temporanee, da poter utilizzare liberamente e creativamente per progetti di ricerca, didattica o marketing.
L’ambiente virtualizzato funziona come strumento di comunicazione da remoto, ad esempio per fare formazione a distanza, permette l’accesso in condizioni complesse ad alcuni ambienti magari temporaneamente inaccessibili per motivi di sospensione per lavori o in casi speciali, pensiamo alle chiusure durante gli anni del Covid19. Permette l’accesso e la presentazione dei luoghi anche a persone che hanno importanti disabilità e non possono ovviamente muoversi o viaggiare fisicamente. Oltre ovviamente ad avere un effetto di marketing esperienziale che se correttamente utilizzato diventa uno strumento di forte attrattività commerciale e quindi di engagement, sia tramite tecniche di promozione diretta sia ad esempio tramite tecniche di gamification legate al mondo dell’arte».

La virtualizzazione del Museo Alto Mugello (Palazzuolo sul Senio, Firenze) realizzata da R&D Telecommunication and Energy in collaborazione con SDIPI srl, tramite tecnologia Matterport. (Cliccare sull’immagine per avviare l’esplorazione del modello).

Un museo virtualizzato e visitabile on-line non corre il rischio di scoraggiare le visite di persona producendo un effetto “tanto lo vedo su internet”?

«Questo è un punto molto interessante e importante da chiarire e la risposta è decisamente no: non esiste il rischio di scoraggiare le visite in presenza! Argomento subito con un esempio. Le neuroscienze e il neuromarketing indicano che quando leggiamo un libro o vediamo un film per la seconda volta, è nel momento di questa seconda iterazione che il nostro cervello registra l’esperienza come vera. Questo stesso principio si può applicare all’esperienza di visita museale e all’utilizzo della virtualizzazione del museo a scopo didattico. Se la virtualizzazione diventa un elemento comunicativo per suscitare la voglia di conoscere o – ad esempio nell’educazione e nella formazione dei ragazzi più giovani – un elemento per anticipare una visita in presenza, l’effetto che si genera è l’esatto opposto rispetto allo scoraggiare quest’ultima. Cioè invece si crea un elemento che incuriosisce e che porta ad andare fisicamente sul posto perché la visita anticipata virtuale crea un effetto di affidabilità e di conoscenza preesistente per il nostro cervello che fa sì che si crei un meccanismo di engagement. Questo meccanismo è riconosciuto da studi internazionali che dimostrano esattamente questo effetto che si verifica nel nostro cervello in termini di self-confidence rispetto a cose già viste.
Chiaramente per ottenere il massimo da questo effetto bisogna lavorare su delle strategie di progetto che sono appunto quelle che noi facciamo in fase preliminare di lavoro e su cui possiamo offrire la nostra esperienza e consulenza.

Spesso il mondo della cultura tecnica e digitale ingegneristica sembra molto lontano dal mondo umanistico ma, come ci insegna Leonardo Da Vinci, la natura e la rappresentazione umanistica sono già elemento di spiegazione per quello che poi la tecnica non fa altro che replicare in forme più o meno fantasiose. E il mondo moderno, dopo il Covid19 e la digitalizzazione che ci sta portando, tramite i sistemi social, tramite le intelligenze artificiali odierne, ci spiega che sempre di più l’esperienza fisica è accompagnata da un’esperienza digitale. I nostri desideri arrivano prima tramite dispositivi digitali, sistemi di marketing, sistemi di globalizzazione da un appeal digitale e poi diventano una nostra necessità fisica da appagare. I flussi turistici nelle principali città lo dimostrano e l’effetto appunto dei social spiegano e indicano come poi questi flussi turistici sono fortemente incanalati rispetto a delle logiche di massa che ovviamente vengono comunicate nel mondo digitale e poi applicate nel mondo fisico. Detto questo, crediamo che le virtualizzazioni siano una delle tante emanazioni, una delle tante possibilità con cui il mondo moderno si esprime, per cui soprattutto per le generazioni più giovani la formazione esperienziale digitale sia il primo passo di avvicinamento per cose che poi diventano un’esperienza tangibile da fare sia in fase di formazione sia in fase ovviamente di piacevolezza da turista, da visitatore del mondo.

Un altro elemento importante è la possibilità di combinare soluzioni 3D all’interno dello stesso modello, quindi ad esempio nella virtualizzazione di un intero ambiente possiamo poi fare una ricostruzione tridimensionale fotogrammetrica di un singolo pezzo – può essere un’opera d’arte può essere un mobile può essere tutto quello che si desidera, potenzialmente anche una persona – e poi possiamo tramite soluzioni multimediali tradizionali inserirlo come punto interattivo così da permettere di avere nello stesso contenitore digitale sia la virtualizzazione dell’intero ambiente sia la virtualizzazione del singolo oggetto, a disposizione dell’utente che può visualizzarla, esplorarla e approfondire nel dettaglio».

Esempio di virtualizzazione di un manufatto eseguita da R&D Telecommunication and Energy in collaborazione con Navigo Toscana: teiera di epoca napoleonica conservata presso i Musei Civici di Villa Paolina a Viareggio.

Potete anche occuparvi di rendere l’ambiente interattivo?

«Sì, è possibile rendere interattivo l’ambiente, con dei limiti. Abbiamo lavorato su svariate soluzioni per creare un maggiore engagement tramite il portale e infatti in ambito tecnologico abbiniamo le virtualizzazioni al settore di dati di manutenzione predittiva e controllo in tempo reale dei macchinari. La soluzione più funzionale è proprio quella di costruire un portale web in cui oltre ad accedere e a muoversi nel sistema di virtualizzazione si creano delle logiche di user experience che tramite il portale stesso permettono di fare delle modifiche, variazioni o integrazioni diverse. Grazie all’esperienza che abbiamo maturato possiamo offrire ai nostri committenti una consulenza sicura su come raggiungere gli obiettivi comunicativi o didattici desiderati».

Come si interagisce con la virtualizzazione?

«L’utente interagisce con la virtualizzazione navigandoci, muovendosi al suo interno, zoomando alcune aree, avendo quindi la resa planimetrica, potendo prendere delle misure, potendo interagire con i tag interattivi. È una vera e propria virtual box in cui si può navigare e all’interno della quale si riesce ad avere un’esperienza immersiva. Il massimo lo si ha esattamente quando c’è un operatore che guida un secondo utente nell’esplorazione. E questo ci porta un po’ alla logica moderna del metaverso».


Il video mostra una breve navigazione di esempio all’interno del modello digitale del Museo Alto Mugello (Palazzuolo sul Senio, Firenze) realizzata da R&D Telecommunication and Energy, tramite tecnologia Matterport. In particolare viene illustrata la possibilità di customizzare l’ambiente virtualizzato con contenuti didattici multimediali in forma di documenti pdf

Che cos’è il metaverso?

«Volendo semplificare, il metaverso è uno spazio virtuale dove avvengono interazioni reali tra persone e quindi è un sistema dove si può costruire in digitale una experience che però avviene tramite appunto l’interazione di soggetti in carne e ossa».

Come si integra il progetto di virtualizzazione di un museo o di uno spazio, con il metaverso?

«Nel momento in cui abbiamo virtualizzato un ambiente con tutto quello che al suo interno c’è, di fatto laddove una persona guida un visitatore, immaginiamo, come si parlava – su progetti di educazione, di cultural heritage, oppure un allestitore, un gallerista mostra per uso marketing a una potenziale cliente anche a distanza tramite appunto un sistema digitale, un video, quella è un’interazione tra persone reali tramite uno strumento digitale di virtualizzazione degli ambienti. Questa è effettivamente una forma di metaverso».

Di chi è la proprietà intellettuale di un bene virtualizzato?

«La proprietà intellettuale del bene è e rimane di proprietà del soggetto stesso a cui appartiene il bene esattamente con la stessa logica delle riprese fotografiche o video. Non c’è motivo per cui la proprietà visuale intellettuale passi a terzi che erogano semplicemente un servizio».

Parliamo di sicurezza dei dati e giurisdizione applicabile. Dove sono conservati materialmente i dati digitali?

«I dati vengono ospitati su un server proprietario della casa produttrice di questa tecnologia. Si tratta di una grande società quotata in borsa che garantisce la massima sicurezza in termini di protocolli di accessibilità, di replicabilità e di fruibilità del dato, garantendo quella che si chiama disponibilità always-on e, nello stesso tempo, la garanzia di non modificabilità e di non intervento da parte di terzi soggetti su quella singola virtualizzazione. Di contro, le virtualizzazioni, l’accesso per le modifiche e le customizzazioni sono invece appannaggio delle nostre attività e quindi diamo noi secondo il modello sul GDPR standard di normativa italiana, la normativa di gestione e trattamento sicuro dei dati d’accesso».

Virtualizzare un ambiente presenta qualche tipo di rischio?

«Non ci sono rischi particolari se non quello di far cogliere idee, ispirazioni e anche strategie di competitor di mercati rispetto a un proprio allestimento, a una propria idea strutturale, quindi è più un rischio legato al marketing che il contrario, ma d’altra parte se uno non fa vedere i propri tesori nello stesso modo non li può nemmeno promuovere in termini visuali».

Qual’è la grandezza minima di un progetto su cui potete lavorare?

«È possibile scansionare da pochi decine di metri quadri fino a migliaia di metri quadri. Il nostro target tipicamente sono almeno i 100 mq, perché l’esperienza ci ha insegnato che il punto chiave è non tanto l’estensione della superficie (che a livello tecnico non è assolutamente un problema) quanto piuttosto il significato e il progetto, e quindi il valore che assume la rappresentazione spaziale che si vuol presentare e rappresentare con le tecnologie di virtualizzazione».

Un esempio di scansione con il sistema Matterport di un contesto industriale. L’estensione o la complessità delle superfici non rappresenta un problema e l’ambiente può essere acquisito in modo semplice ed efficace.

Parlando dei vostri committenti, quali sono i soggetti professionali con cui vi interfacciate solitamente?

«Tipicamente ci interfacciamo con gli imprenditori stessi, i responsabili del marketing e della comunicazione e chi fondamentalmente gestisce l’azienda o l’istituzione in termini di rappresentazione e presentazione verso l’esterno, tramite progetti (ad esempio con le scuole) oppure nell’area comunicazione e marketing della struttura di cui si vuole realizzare la virtualizzazione».

Ci sono delle figure professionali a voi necessarie come interlocutori dalla parte del committente, anche specificamente nel caso di un museo?

«Da un punto di vista di progetto preliminare sicuramente chi ha il compito di lavorare sulla comunicazione, sul marketing e sul concepting degli allestimenti museali è il referente corretto. Dal momento in cui ci si cala nell’operatività dobbiamo chiaramente interagire con chi ha la gestione operativa delle sale, conosce l’allestimento e può aiutare nella preparazione dell’ambiente, che prima della scansione va allestito al meglio e al massimo delle sue potenzialità, esattamente come si fa su un set fotografico, così da avere il massimo della resa».

Quali sono le fasi di progetto? Possiamo tracciare un iter di massima dal primo contatto fino alla consegna del lavoro?

«Gli iter progettuali sono molto semplici, c’è una fase preliminare, dove si analizzano le planimetrie e si studia insieme al cliente cosa si desidera mettere in evidenza e portare poi all’attenzione dello spettatore del virtual tour. La seconda fase è quella di allestimento, che viene fatta praticamente contestualmente al momento della ripresa, dove si fa un check degli ambienti, si sistema, si fa l’ultima messa a punto affinché si abbia il massimo della resa di visualizzazione. Ed infine c’è la scansione. Una volta scansionato l’intero ambiente, il lavoro passa in fase di piattaforma digitale e su questa praticamente andiamo a ricostruire il modello e a personalizzarlo con punti interattivi, legende, diciture, pdf, link multimediali e rimandi ad altri contenuti web e digital».

Il video mostra una breve navigazione di esempio all’interno del modello digitale del Museo Alto Mugello (Palazzuolo sul Senio, Firenze) realizzata da R&D Telecommunication and Energy, tramite tecnologia Matterport. In particolare viene illustrata la possibilità di customizzare l’ambiente virtualizzato con contenuti didattici multimediali in forma di video.

È possibile avere un’idea delle tempistiche minime per la realizzazione di un progetto?

«Il bello di questa tecnologia è che ci permette di ottenere grandi risultati in tempi estremamente ridotti. Tranquillamente in 24 ore riusciamo a scansionare spazi anche nell’ordine del migliaio di metri quadri e nelle successive 48 ore siamo in grado di consegnare il modello e renderlo fruibile online».

Quali sono le difficoltà tecniche o problemi che si possono incontrare, durante la realizzazione di un progetto di virtualizzazione? Come è possibile prevenirle o superarle?

«Questa tecnologia per quanto avvenieristica ha delle forti affinità con la vecchia fotografia in analogico, ovvero si riesce a vedere la resa del risultato finale solamente quando abbiamo ricostruito l’intero modello. Il nostro lavoro durante la scansione non consiste meramente nel posizionare il macchinario all’interno dell’ambiente e premere un pulsante di avvio, il buon risultato finale dipende invece da uno studio che possiamo fare sull’ambiente e dalla sua corretta interpretazione. L’esperienza che abbiamo maturato in questi anni ci ha permesso di interpretare fondamentalmente la luce, perché su quello si basa la ricostruzione, per cui dato che l’esposizione diretta a fonti solari o luci molto intense possono pregiudicare la ricostruzione del modello virtuale la nostra esperienza è stata proprio quella di mettere a punto delle tecniche di analisi preliminare, per cui riusciamo a gestire le ore del giorno e la sequenza di scansione in maniera ottimale rispetto a quanta luce c’è negli ambienti.
Abbiamo svolto expertise in situazioni anche molto complesse e ad oggi siamo riusciti sempre a portare in fondo delle scansioni complete precise e soddisfacenti sia da un punto di vista tecnico sia da un punto di vista di impatto visivo e emozionale».

Quali sono le modalità di consegna del modello virtualizzato?

«La consegna avviene attraverso un link web, accessibile da qualunque dispositivo connesso che sia un computer, un tablet, un telefonino o degli occhiali per la realtà virtuale. Semplicemente viene trasmesso al cliente tramite email il proprio link e quello permetterà poi l’acceso alla virtualizzazione. Si possono inventare molte strategie di marketing digitale legate a questa logica. Per cui questo link possiamo inserirlo ad esempio all’interno di un sito protetto da password quindi anche con delle logiche di ticketing oppure promuoverlo in maniera aperta su sistemi social, motivo per cui la leggerezza dello strumento – la velocità di realizzazione e di resa di disponibilità al cliente – è uno dei punti di forza di questa soluzione tecnologica e quindi la fruibilità in contemporanea a livello ovviamente globale senza problemi di orario, di spazio, di distanze».

Ci sono dei costi ricorrenti da sostenere dopo la consegna del modello virtualizzato?

«I dati del modello lavorano su un sistema cloud e quindi ovviamente il mantenimento di questi dati – che essendo di natura fotografica ad alta risoluzione hanno la loro complessità e un loro costo computazionale – richiede un minimo costo di hosting, che resta comunque nell’ordine delle poche decine di euro al mese».

Offrite servizi di assistenza post-consegna? Si tratta di interventi da remoto oppure in presenza?

«Sì, abbiamo fatto numerosi servizi di assistenza post-consegna soprattutto in termini di formazione al reparto marketing o al reparto comunicazione dei committenti, sull’utilizzo di queste tecnologie e sulla definizione di strategie efficaci nel loro impiego. Quindi insegnamo ai reparti commerciali, rispetto all’obiettivo inizialmente fissato nella prima fase del lavoro, a utilizzare la virtualizzazione in termini attivi e a comunicarla. Talvolta queste attività si fanno in presenza, tante altre volte si possono fare tranquillamente da remoto proprio perché lo strumento nasce per lavorare con la logica della comunicazione a distanza. In ambito fieristico, ad esempio, le aziende lo utilizzano per mostrare in maniera anticipata ai clienti la grandezza dei propri reparti produttivi e questo ovviamente è un meccanismo che lavora sempre a metà tra la parte da remoto e la parte in presenza. Ovviamente fra i servizi post-vendita c’è anche quello di modificare, aggiornare periodicamente i contenuti multimediali nel caso appunto il cliente desideri utilizzare la virtualizzazione come ad esempio strumento di marketing là dove ci sia una variabilità, una rotazione dei componenti disponibili, un po’ come un piccolo e-shop immersivo».

Cosa succede, infatti, nel caso il museo abbia bisogno di apportare un aggiornamento all’ambiente virtualizzato? Sia nel caso di un rinnovo parziale dell’allestimento, ad esempio per inserire un nuovo oggetto in una vetrina già facente parte della virtualizzazione, sia nel caso si debba aggiungere un nuovo ambiente a quelli già digitalizzati, ad esempio per l’apertura di una nuova sala espositiva del museo?

«In caso di aggiornamento della situazione espositiva si può agire in molteplici modi. Se ad esempio si deve aggiungere una nuova sala ad una scansione già realizzata – a patto che la zona da cui si proviene non abbia subito grossi stravolgimenti – semplicemente si riesce ad aggiungere al modello già esistente la nuova area non ancora scansionata. Laddove andiamo a ricostruire interamente delle aree di fronte a un cambio di assetto generale è necessario realizzare un nuovo modello, ma come dicevo prima, la velocità di realizzazione permette chiaramente di sopperire a tale problematica in maniera del tutto trasparente ed esaustiva per il cliente, quindi si tratta semplicemente di scegliere una strategia condivisa con il cliente per poter ovviamente valutare, laddove servisse, delle logiche di aggiornamento ricorsivo.
Per quanto riguarda i contenuti multimediali, è possibile cambiarli aggiornarli modificarli aumentarli o diminuirli a seconda delle richieste. Quindi anche mantenendo sempre lo stesso assetto sul modello base di virtualizzazione possiamo tranquillamente e senza limiti di quantità o di tempo aggiungere o variare i contenuti di interazione degli utenti».

Cosa commentate in conclusione a questa esperienza di lavoro hi-tech

«Le esperienze immersive che si riescono a creare con questa tecnologia crescono e si aggiornano rapidamente, entrando nelle prassi di vita e negli usi odierni. Questa attività ci gratifica, tanto per la palese soddisfazione dei nostri clienti potendo erogare nuove tipologie di servizi, quanto per la possibilità di accedere a luoghi incredibili del nostro patrimonio architettonico ed artistico. Siamo certi che l’esperienza fatta e quello che verrà in futuro, con la diffusione dei visori come già promesso dalle aziende leader permetterà ulteriori sviluppi garantendo interazioni ad oggi ancora non completamente immaginabili. Questa tipologia di attività ci permette di vivere la tecnologia e la cultura, grandi passioni che ci appartengono da sempre, in maniera unica, professionalmente e umanamente estremamente appagante. Venite a scoprirci su https://www.redtechfirenze.it ».

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